È tutto pronto per scattare la foto del secolo. Un insieme di otto osservatori simulerà un radiotelescopio delle dimensioni della Terra allo scopo di intravedere il moto del gas incandescente che circonda il buco nero supermassiccio della Via Lattea. Quali le sfide e le attese? Ne parliamo con Heino Falcke, presidente del consiglio scientifico dell’EHT, e Ciriaco Goddi, responsabile scientifico del progetto BlackHoleCam
Se il 2016 è stato l’anno delle onde gravitazionali, il 2017 non sarà da meno. C’è tanta attesa ed entusiasmo, ma anche qualche apprensione, per quella che è stata definita la “foto del secolo”, o forse di sempre, che avrà come obiettivo l’orizzonte degli eventi di un buco nero. Otto radiotelescopi sparsi sul globo uniranno le loro forze agendo virtualmente come una singola, potente antenna delle dimensioni della Terra. L’Event Horizon Telescope (Eht), un nome appropriato per significare l’importanza di questa impresa titanica, punterà le antenne verso il centro della Via Lattea, cercando di spiare il buco nero che si cela nel nucleo della nostra galassia. Se questo tentativo avrà successo, le spettacolari immagini, che saranno pubblicate tra la fine di quest’anno e gli inizi del 2018, potrebbero aiutare gli astronomi a verificare le predizioni di Einstein e conoscere più da vicino non solo Sagittarius A* (Sgr A*) ma anche il buco nero supermassivo della galassia ellittica gigante M87, l’altro obiettivo dell’esperimento.
Le precedenti osservazioni di Sgr A*, realizzate con un network di radiotelescopi che operano a frequenze radio più basse rispetto all’Eht, hanno fornito solo immagini indicative, dalla forma a blob, poiché non sfruttavano un elevato potere risolutivo. Le misure fatte finora con l’Eht hanno invece raggiunto una risoluzione angolare intorno ai 60 microsecondi d’arco. Nonostante questa spettacolare risoluzione angolare (equivalente al diametro sotteso da una mela posta sulla superficie della Luna), queste misure non hanno consentito di ottenere un’immagine della sorgente, perché il network era costituito da soli 3-4 elementi. Ma c’è qualche speranza, poiché il coinvolgimento di altri strumenti in banda millimetrica come Alma (Cile) e il South Pole Telescope (Antartide), rispetto alla rete di radiotelescopi situati in Hawaii, Spagna, Messico e Arizona, permetterà di migliorare la risoluzione angolare e le aspettative in termini della ricostruzione delle immagini.
«Un elemento fondamentale per l’attuazione di questo piano è l’Atacama Large Millimeter Array (Alma), che è il radiotelescopio più sensibile mai costruito in banda millimetrica, situato nel deserto di Atacama nelle Ande Cilene, a 5100 m sul livello del mare, il deserto più alto e secco al mondo», spiega a Media Inaf Ciriaco Goddi, BlackHoleCam project scientist alla Radboud University, Nijmegen, in Olanda e astronomo presso l’Alma Regional Center a Leiden, sempre in Olanda. BlackHoleCam è un progetto di ‘Synergy Grant’ finanziato dall’European Research Council – guidato da Heino Falcke (Radboud University Nijmegen e Astron), Michael Kramer (Max-Planck-Institut für Radioastronomie) e Luciano Rezzolla (Goethe University in Frankfurt) – che ha come obiettivo quello di ricostruire la prima immagine accurata di un buco nero.
«Alma è un insieme di 50 antenne singole di 12 metri di diametro», ricorda Goddi, «per il quale è stato sviluppato un dispositivo (detto beamformer) in grado di aggregare l’intera area di raccolta dell’array in un unico elemento: in tale sistema tutte le 50 antenne sono combinate per agire congiuntamente come un unico elemento gigante (equivalente ad un radiotelescopio di ben 84 metri di diametro) all’interno dell’Eht. L’inserimento di questo “fuoriclasse” nella rete di radiotelescopi è ciò che consentirà un salto di qualità nelle prestazioni dell’Eht, sia in termini di risoluzione che di sensibilità, permettendo così di “mettere a fuoco” il buco nero supermassiccio al centro della nostra Via Lattea».
Operando insieme, le antenne simuleranno un singolo gigantesco strumento delle dimensioni della Terra che sarà in grado di “vedere” direttamente l’orizzonte degli eventi, quel confine che circonda i buchi neri dove tutto ciò che passa non torna mai più indietro, e rivelare la cosiddetta “ombra” di Sgr A*. Di fatto, grazie alla tecnica dell’interferometria radio a lunghissima linea di base (Vlbi), si otterrà il livello più alto di risoluzione spaziale di ogni altro attuale strumento astronomico. Nel caso di Sgr A*, che si estende per circa 24 milioni di chilometri (circa 17 volte più grande del Sole) e che si trova a 26 mila anni-luce, “scattare una foto” è una missione impossibile: il raggio di Schwarzschild risulta decisamente piccolo (10 microsecondi d’arco). «Una cosa da tener presente è che noi non risolveremo 10 microsecondi d’arco», fa notare Goddi. «Infatti, grazie all’effetto della lente gravitazionale dovuta all’enorme gravità attorno all’orizzonte degli eventi, lo spaziotempo viene talmente “curvato” che il raggio di 10 microsecondi d’arco diventa in realtà (visto da noi) 25 microsecondi d’arco. Perciò la dimensione (angolare) dell’ombra del buco nero, creata dall’orizzonte degli eventi, vista da Terra, sarà di 50 microsecondi d’arco. È questa la risoluzione angolare che EHT può raggiungere facilmente».
Nonostante ciò, gli astronomi sperano di poter vedere le regioni immediatamente più esterne dove il gas viene trascinato nel disco di accrescimento che circonda il buco nero e come la materia viene espulsa lungo i getti. La speranza è anche quella di poter definire la dimensione e la forma dell’orizzonte degli eventi e verificare se la relatività generale sia ancora valida in condizioni estreme. Gli scienziati hanno eseguito tantissime simulazioni per analizzare le possibili configurazioni che può assumere il gas e in tutti i casi la scelta è caduta sul valore di 1,3 mm. In altre parole, per penetrare la nube di polveri e “vedere” l’orizzonte degli eventi, occorrerà che il gas caldo si trovi in prossimità di questa zona di non ritorno mostrandosi luminoso e brillante a questa lunghezza d’onda, così come sperano gli astronomi. Inoltre, la luce dovrà propagarsi senza trovare particolari ostacoli arrivando a Terra, dopo aver attraversato l’atmosfera, fino a raggiungere le parabole dei radiotelescopi: ancora una volta, la scelta di utilizzare una lunghezza d’onda di 1,3 mm (230 GHz) sembra essere quella giusta.
Diversi gruppi hanno già sviluppato una serie di algoritmi per ricostruire le immagini dalle osservazioni, che permetteranno di limitare imperfezioni derivanti dalle prestazione degli strumenti o la presenza di rumore causati dall’atmosfera terrestre. I ricercatori sperano anche di realizzare dei filmati relativi al moto del gas, spingendo oltre i limiti le capacità di imaging degli stessi algoritmi. Queste osservazioni potrebbero aiutare gli scienziati a comprendere come alcuni oggetti supermassivi in altre galassie appaiano estremamente attivi, risucchiando voracemente materia ad un ritmo forsennato ed espellendo il resto lungo spettacolari getti relativistici che si estendono nello spazio fin oltre la galassia ospite, mentre altri come Sgr A* sembrano essere a dieta.
Secondo alcune simulazioni, le immagini dovrebbero assomigliare a quelle di una mezzaluna, anziché a un blob così come previsto da altri modelli. La forma a mezzaluna deriva dalla presenza del disco di accrescimento. Data la sua rotazione attorno al buco nero, il lato del disco che si muove verso l’osservatore diventerà più luminoso, a causa dell’effetto Doppler relativistico, mentre il lato del disco che si allontana dall’osservatore apparirà più debole. Al centro della mezzaluna crescente si dovrebbe intravedere un cerchio più scuro, la cosiddetta “ombra del buco nero”, che rappresenta effettivamente l’oggetto centrale massiccio, mentre la luce risulterà talmente deflessa a causa dall’intenso campo gravitazionale.
Ma che cosa osserverà esattamente l’EHT? «Sappiamo che l’emissione radio viene emessa da una regione molto vicina al buco nero. Più alta è la frequenza e più vicina all’orizzonte degli eventi del buco nero viene emessa la radiazione», spiega Heino Falcke del Department of Astronomy, Radboud University Nijmegen, Olanda, e presidente del consiglio scientifico dell’Event Horizon Telescope. «L’orizzonte degli eventi è una sorta di membrana unidirezionale attraverso cui qualsiasi cosa, persino la luce, può solo sparire e mai tornare indietro. Quindi, ci aspettiamo di vedere una vera “buca” di luce, circondata da un anello luminoso, che chiamiamo la “ombra” dell’orizzonte degli eventi. Ad ogni modo, nel corso dei primi anni di osservazioni la nostra risoluzione e qualità non saranno probabilmente abbastanza ottimali, perciò potremmo vedere una struttura complicata e distorta che potrebbe assomigliare molto a una “arachide”. Solo col tempo e forse sfruttando le frequenze più elevate, saremo in grado di ottenere un’immagine veramente nitida della regione più esterna del buco nero».
Falcke è stato il primo a proporre nel 1998 e poi nel 2000 l’idea di creare l’immagine dell’ombra del buco nero galattico. Lo scienziato ha poi sviluppato, assieme al suo team, un modello per spiegare l’origine dell’emissione radio da Sgr A* proveniente da una parte del plasma che sfugge alla morsa del buco nero sottoforma di un getto relativistico.
Le osservazioni, che saranno effettuate in una finestra temporale dal 5 al 14 aprile, per cinque notti, dovranno affrontare alcuni ostacoli. «Il maggiore ostacolo che dovremo affrontare durante le osservazioni il prossimo mese è dato dalle condizioni climatiche, in particolare dal tasso di umidità o più precisamente dal contenuto di vapore acqueo nella troposfera», dice Goddi. «Il suo effetto non è solo quello di attenuare il già debole segnale, ma è anche quello di “distorcere” il fronte delle onde radio, per cui una volta che queste arrivano ai rivelatori non saremo in grado di ricostruire l’immagine della sorgente che le ha generate. Per questo motivo, noi astronomi del consorzio Eht di presidio nei vari telescopi dovremo decidere se dare o meno il via libera alle osservazioni sulla base di fattori climatici (in primis la colonna di vapore acqueo misurato ai telescopi nei vari siti). Io starò di base ad Alma, lo strumento di gran lunga più importante dell’esperimento, per cui da lì sarà presa la decisione se procedere con le osservazioni o no, sulla base appunto delle condizioni climatiche che saranno presenti durante quei 10 giorni nel deserto di Atacama».
«Per diversi decenni, questo buco nero si è mostrato alquanto noioso, essenzialmente come un blob regolare ed ellittico», aggiunge Falcke. «Ora, con questo esperimento, il suo aspetto dovrebbe cambiare completamente. Abbiamo una chiara predizione dalla teoria di Einstein secondo cui l’orizzonte degli eventi esiste, perciò dovremmo essere in grado di vedere almeno qualche traccia di questo orizzonte degli eventi nei nostri dati. Naturalmente, non è così semplice. Ci piacerebbe avere ancora molti altri radiotelescopi in modo da realizzare un’immagine unica. Di fatto, l’assenza di un solo strumento comprometterebbe la qualità dell’immagine in maniera significativa. Ci sono un sacco di cose che possono andar storto. Le condizioni meteo devono essere ottimali in tutti i siti sparsi sul globo e nello stesso intervallo di tempo di osservazione, il che non è sempre così. La strumentazione può non funzionare. Sono coinvolte tante componenti hi-tech, alcune delle quali sono state installate appositamente per questo esperimento. Dovremo registrare un’enorme mole di dati, dell’ordine dei petabytes, che non possiamo archiviare nelle singole stazioni e perciò parte di essi potrebbero perdersi durante il trasporto dei dischi rigidi. Le persone possono commettere errori durante le ore notturne. Ci sono oltre 30 persone che saranno inviate particolarmente in questi otto osservatori per salvaguardare le prestazioni dell’esperimento oltre alla presenza degli operatori e tecnici di turno. Si tratta di un’operazione complessa, non ancora standardizzata, dove qualcosa può sempre andar storto».
La relatività generale afferma che una massa, specialmente una così massiccia equivalente a 4 milioni di soli, curvi lo spaziotempo. Questa curvatura può essere calcolata matematicamente perciò la dimensione dell’ombra prodotta da Sgr A* dovrebbe essere o uguale a quella predetta dalla teoria di Einstein oppure no. È un po’ come ripetere l’esperimento che realizzò Eddington durante l’eclisse del 1919 quand’egli misurò la deflessione dei raggi luminosi di stelle vicine al bordo solare dovuta all’azione esercitata dal campo gravitazionale della nostra stella. Ora, quasi un secolo dopo, gli scienziati eseguiranno una misura similare il cui effetto, però, sarà moltiplicato milioni di milioni di milioni di volte in termini della curvatura dello spaziotempo.
Insomma, ottenere un’immagine risolta di Sgr A* sarebbe già un trionfo. Ma il vero obiettivo di questo esperimento è quello di utilizzare le abilità della tecnica di imaging per verificare alcuni aspetti della relatività generale. Se ci sono delle deviazioni dalle idee di Einstein, così come sospettano alcuni scienziati che ipotizzano delle spiegazioni più complete della gravità, allora è proprio in questi ambienti estremi che caratterizzano i buchi neri dove queste limitazioni potrebbero rivelarsi. «Non credo che da queste prime osservazioni potremo provare che Einstein abbia torto o ragione», conclude Falcke. «Ad ogni modo, dovremmo essere in grado di intravedere delle strutture complesse dovute alla presenza dell’orizzonte degli eventi. Questo ci permetterà di confrontare i nostri dati con le simulazioni numeriche molto dettagliate e capire meglio se e di quanto sta ruotando il buco nero e come è orientato. Entro qualche anno, le immagini dovrebbero migliorare sempre più in modo da permetterci di “vedere” in definitiva, e per la prima volta, un vero orizzonte degli eventi, l’estremità finale dello spazio e del tempo».
(taken from Media INAF article on March 24 2017)